sabato 19 marzo 2011

Radioattività

Come tutti sanno una delle principali controindicazioni alle centrali nucleari è la radioattività, che si può presentare in varie forme: nel corso della reazione (anche se viene contenuta quasi integralmente all'interno della centrale), nelle scorie nucleari oppure rilasciata in caso di incidenti e malfunzionamenti, come nel caso di questi giorni della centrale giapponese di Fukushima. Ma cos'è di preciso questa radioattività, e perché è tanto pericolosa?
Come abbiamo visto in precedenza, l'atomo (chi non l'ha già fatto dovrebbe leggere l'articolo cui conduce il link per capire meglio di cosa stiamo parlando) è composto da protoni, neutroni ed elettroni. I primi due sono contenuti nel nucleo atomico, gli elettroni invece costituiscono una nube che lo circonda. Abbiamo anche visto che i protoni sono dotati di carica positiva, mentre i neutroni non hanno carica. Tutti sanno che due cariche opposte si respingono, quindi è naturale chiedersi come sia possibile che i protoni stiano ammassati nel nucleo, quando saremmo portati a pensare che dovrebbero respingersi tra di loro: la ragione è che esiste in natura una forza detta "interazione forte" che è più grande di ogni altro tipo di forza. Essa è ciò che tiene uniti protoni e neutroni all'interno del nucleo atomico. Ora si capisce bene che c'è un equilibrio tra la forza che tende a respingere i protoni tra di loro, e la forza che tende ad unirli, ma quest'equilibrio non è stabile per tutti gli atomi. In particolare per piccoli atomi (fino a 20 protoni) sono stabili gli isotopi che hanno un numero pari di neutroni e protoni, mentre per atomi più grandi il numero di protoni deve essere leggermente inferiore a quello di protoni. Per atomi ancora più pesanti (più di 83 protoni) non esistono isotopi stabili.
Gli atomi coinvolti nelle reazioni di fissione nucleare appartengono appunto a quest'ultimo gruppo. La conseguenza di questo fatto è che essi tenderanno a raggiungere una condizione di equilibrio stabile, e per farlo "decadono", ovvero si trasformano in altri atomi. Tuttavia in natura nulla si crea e nulla si distrugge, quindi se questi atomi perdono massa, allora questa massa deve essere finita da qualche altra parte oppure deve essersi trasformata in qualcos'altro: questa massa si è trasformata in energia, secondo la nota relazione E=mc² e quest'energia viene liberata come radiazioni elettromagnetiche.
Le onde emanate sono di varia natura, e differiscono tra loro per la frequenza delle radiazioni e il contenuto energetico delle stesse, che ne fa variare la dannosità per le specie biologiche (quindi anche l'uomo) e la capacità di penetrare la materia (e quindi la difficoltà che si incontra per riuscire a creare schermi impenetrabili da queste radiazioni). Senza entrare in questi dettagli troppo tecnici le cose più interessanti sono l'emivita, detta anche "tempo di dimezzamento" e il tipo di danni che queste radiazioni possono arrecare agli esseri viventi.
Per quanto riguarda il primo punto, l'emivita è un valore che ci dice quanto tempo una sostanza radioattiva impiega a far decadere metà degli atomi instabili che la compongono. Poiché il decadimento non è una funzione lineare del tempo, non vuol dire che nel doppio del tempo di dimezzamento la sostanza cesserà di essere radioattiva, anzi nella realtà sarà necessario un tempo molto, molto più lungo, tuttavia siamo certi che una sostanza che ha un tempo di dimezzamento più grande sarà radioattiva più a lungo di un'altra che lo ha più piccolo. Quello che lascia sgomenti è che alcune sostanze coinvolte nelle reazioni nucleari delle centrali a fissione nucleare hanno un'emivita di centinaia di migliaia di anni e quindi in sostanza, rapportate alla durata della vita umana, si possono considerare eterne: per questo motivo non esiste in natura, né può essere costruito dall'uomo un deposito che possa contenere le scorie radioattive per tutto il tempo necessario a renderle innocue.
Per quanto riguarda invece il secondo punto è utile definire un'unità di misura della dose di radiazioni assorbita da un organismo,  e quest'unità è il Sievert, Sv (o, più opportunamente il suo sottomultiplo mSv) che rappresenta il rapporto tra l'energia assorbita a causa delle radiazioni per ogni kg di massa corporea (J/kg). Per cause naturali mediamente ogni individuo assume 2,4 mSv ogni anno, e questa quantità viene considerata innocua per le specie viventi. Questo valore può crescere per cause artificiali (ad esempio una radiografia provoca l'assorbimento di circa 1 mSv, mentre altri trattamenti medici possono far salire considerevolmente questo numero). In dosi massicce le radiazioni possono arrecare danni temporanei e permanenti, e questo dipende dalla loro capacità di alterare il DNA dell'individuo, col rischio che le cellule diano vita a una progenie malata, che può dar luogo, ad esempio, a tumori e leucemie.

Vediamo in che dosi giornaliere le radiazioni possono dar luogo a danni immediati (i danni a lungo termine sono più difficili da stimare):

0 – 0.25 Sv (0 - 250 mSv): Nessun danno
0.25 – 1 Sv (250 - 1000 mSv): lieve nausea e perdita d'appetito; midollo osseo, linfonodi e milza danneggiati.
1 – 3 Sv (1000 - 3000 mSv): forte nausea e perdita d'appetito; infezioni e danni più seri a midollo osseo, linfonodi e milza; guarigione probabile ma non assicurata
3 – 6 Sv (3000 - 6000 mSv): enorme nausea e perdita d'appetito; emorragie, infezioni, diarrea, desquamazione della pelle, sterilità, morte se non ci si sottopone a cure mediche
6 – 10 Sv (6000 - 10000 mSv): tutti i sintomi sopra elencati e problemi al sistema nervoso centrale; morte probabile
Above 10 Sv (10000 mSv): morte certa

giovedì 17 marzo 2011

Nucleare, il Governo tira il freno. Romani: 'Fermiamoci un attimo'

BORGO SABOTINO (LATINA), 17 MAR - Il governo tira il freno a mano sul nucleare. Incalzato dal disastro giapponese e da un dibattito sempre piu' acceso, l'esecutivo affida al ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, cui fanno eco le prese di posizione di Berlusconi, Bossi e, ancora di piu', della Prestigiacomo (''e' finita, bisogna uscirne''), il compito di togliere il piede dall'acceleratore dell'atomo. Romani ha scelto un contesto energetico, l'inaugurazione del cavo sottomarino Lazio-Sardegna di Terna, per giocare la carta della prudenza: ''Quello che e' successo in Giappone, un momento di riflessione lo deve dare'', ha detto, invitando il ''sistema Paese, il governo, i tecnici a fermarsi un attimo e capire cosa sia meglio fare''.
Nessun dettaglio temporale su questa ''pausa di riflessione'', che ''deve consentire di capire cosa sta accadendo'' e in particolare se gli stress test sulle vecchie centrali decisi dall''Europa ''diano sicurezza e informazioni''. In ogni caso, ha concluso ribadendo la propria ferma convinzione sull'opportunita' della scelta nucleare, ''non si possono fare scelte che non sono condivise da tutti''. Se quella di Romani e' una frenata, di vera e propria marcia indietro si puo' parlare per il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo: ''E' finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare'', e' il de profundis recitato dal ministro nei corridoi di Montecitorio. Adesso ''bisogna uscirne, ma in maniera soft. Ora non dobbiamo fare niente. Si decide tutto tra un mese''. I segnali mandati dai due ministri sono abbastanza chiari, ma prima di prendere decisioni e' la sicurezza che va messa al centro. Lo avrebbe detto anche il premier Silvio Berlusconi, convinto che, in questo momento, ci si debba affidare all'Unione europea. In ogni caso, ha avvertito Bossi senza entrare nel merito delle dichiarazioni di Romani sulle centrali, che a questo punto sembrano sempre piu' lontane, ''decide il territorio''.
Fonte: Ansa.it

sabato 12 marzo 2011

Esplosione nella centrale di Fukushima allarme radiazioni, tre tecnici contaminati

E’ altissimo l’allarme all’impianto atomico di Fukushima, nel nord del Giappone, dove le autorità giapponesi ritengono che il reattore potrebbe aver subito un processo di fusione dopo il forte terremoto di venerdì. Lo rende noto l’agenzia locale Kyodo. Secondo la Commissione per la Sicurezza Nucleare del Giappone è stato individuato del cesio radioattivo vicino all’impianto. Il numero degli evacuati, nel frattempo, è salito a 210mila, in un raggio di 20km dalle centrali. Parti di barre del combustibile nucleare del reattore numero 1 sarebbero state brevemente esposte all’aria stamane dopo il raffreddamento, il livello della temperatura dell’acqua è sceso per l’evaporazione e un camion dei pompieri ha pompato acqua nel reattore. Intanto, verso le cinque del pomeriggio (ora locale) una esplosione ha sgretolato la gabbia esterna di contenimento di uno dei reattori, sollevando una colonna di fumo bianco.

I canali televisivi hanno avvertito i residenti della zona di rimanere al chiuso, spegnere i condizionatori d’aria e non bere l’acqua del rubinetto. Alle persone che sono all’esterno è stato consigliato di non lasciare esposta la pelle e coprirsi la faccia con maschere ed asciugamani bagnati. I quattro feriti sono stati portati in un ospedale della zona. L’esplosione è avvenuta poco dopo che i responsabili dell’impianto nucleare avevano annunciato di esser riusciti a ridurre la pressione nel reattore.

L’emittente giapponese Nhk ha detto che le autorità hanno misurato il livello di radiazione all’entrata dell’impianto di Fukushima alle 15:29 ora giapponese: se la gente fosse esposta a questo livello di radiazioni per un’ora riceverebbe la stessa quantità di radiazioni che si assume normalmente in un anno. In ogni caso, la società che gestisce l’impianto ha escluso che l’esplosione abbia causato gravi danni al nocciolo del reattore.

L’esplosione, ha riferito la societa’ proprietaria dell’impianto di Fukushima, la Tepco, ha causato il crollo del tetto e delle mura dell’edifico al cui interno e’ ospitato il contenitore di acciaio del reattore che non “ha subito danni gravi”. La rilevazione di cesio all’esterno del reattore numero 1 di Fukushima Daichi conferma che il reattore, il cui sistema di raffreddamento si è bloccato dopo il terremoto di ieri, si è parzialmente fuso. All’interno dell’impianto il livello di radiazioni ha raggiunto un picco di 1.000 volte la norma e di 70 volte all’esterno. L’aumento delle radiazione all’esterno è stato causato dalla fuoriuscita controllata di vapore radioattivo dalla struttura nell’edificio che contiene il reattore. Intanto i tentativi di depressurizzare il modulo di contenimento del reattore 1 avrebbe avuto successo. A breve, saranno prese misure aggiuntive, come l’utilizzo di acqua di mare e acido borico. Intanto le autorità giapponesi pensano di avviare la distribuzione di iodio per una terapia anti-radiazioni tra la popolazione residente intorno alla zona delle centrali. Sono stati sicuramente contaminati, invece, tre tecnici che sono intervenuti sul posto. L’Agenzia internazionale per il nucleare (Aiea) ha in ogni caso chiesto al governo giapponese di essere ragguagliata “urgentemente” sulla situazione.

Il devastante terremoto in Giappone ha danneggiato anche il sistema di raffreddamento del reattore numero 2 di Fukushima, noto come Fukushima-Daini. Le autorità hanno deciso anche in questo caso di evacuare la popolazione nel raggio di 10 chilometri.

In totale a Fukushima sono presenti sei reattori. Il numero 1 è stato avviato nel 1971 e il numero 2 tre anni dopo. I piani di sviluppo della compagnia proprietaria, la Tokyo Electric Power, prevedevano l’installazione di altri due reattori nel 2013 e nel 2014. IL Giappone conta 52 centrali nucleari. Di queste 11 sono state in qualche modo coinvolte nel sisma.



Fonte: Il Fatto Quotidiano

venerdì 28 gennaio 2011

100% di energie rinnovabili entro il 2030

Secondo uno studio dell'università americana di Stanford, entro il 2030 si potrebbe coprire l'intero fabbisogno di energia mondiale usando esclusivamente energie rinnovabili (nel calcolo non sono considerate né le biomasse né il nucleare).
In sostanza lo studio sostiene che non vi siano limiti tecnici di alcun tipo al raggiungimento di questo ambizioso obiettivo, ma soltanto considerazioni di carattere economico e politico.
Lo studio inoltre evidenzia come praticamente ogni tipo di fonte rinnovabile sia attualmente utilizzata a percentuali infime rispetto al suo potenziale (ad esempio usiamo solo lo 0,001% dell'energia dei venti e lo 0,0002% di quella del sole. Tra le fonti rinnovabili meno usate rientrano anche le onde, con un utilizzo di solo 0,000074% e le maree con un utilizzo del 0,0016%).
La data del 2030 quindi non è fissata in base a considerazioni di carattere tecnologico, ma solo in base al fatto che entro quella data, secondo i due studiosi autori dello studio (Jacobson M.Z. e Delucchi M.A), i costi delle centrali rinnovabili usate nella loro ipotesi di mix scenderanno a tal punto che anche la sola idea di aprire una centrale atomica oppure a combustibile fossile sarà proibitiva.

Fonte: università di stanford

sabato 27 novembre 2010

Centrali nucleari, oltre ventimila aborti negli ultimi quarant’anni


L'allarme è stato lanciato da uno studio tedesco. I numeri riguardano soprattutto bambine. Tante non ne sono nate attorno ai 35 chilometri delle 31 centrali europee analizzate
Gravidanza a rischio se la madre abita nelle vicinanze di una centrale nucleare. In numeri: ventimila aborti spontanei negli ultimi 40 anni. Il tutto attorno a 31 impianti di energia atomica, 27 tedeschi e 4 svizzeri. Senza contare un netto aumento di deformità e tumori infantili. Questo si legge in uno studio pubblicato dal Centro di ricerca tedesco per la salute ambientale di Monaco.

Effetti collaterali

Negli scorsi giorni i ricercatori Ralf KusmierzKristina Voigt e Hagen Scherb hanno pubblicato un report tra nascite e prossimità alle centrali nucleari in Germania e Svizzera, in modo da capire se la sola vicinanza delle centrali ha effetto sulla salute dei cittadini, anche in mancanza di grandi incidenti. Lo studio è partito dai dati sugli effetti della catastrofe di Cernobyl, sulle nascite in Ucraina (si stima che un milione di bambine e bambini non siano mai nati in tutta Europa a causa del disastro di Cernobyl) e nelle regioni toccate dalla nuvola radioattiva. Luoghi in cui già in passato si erano riscontrate significative anomalie sia nel numero delle nascite che nel rapporto di nascite fra maschi e femmine.

L’obiettivo degli studiosi era quindi di verificare gli effetti delle centrali nucleari sulle nascite, e i risultati sono stati sconcertanti: secondo loro, nei 35 chilometri attorno alle centrali, negli ultimi quarant’anni sono mancate all’appello ventimila bambine. Normalmente nascono 105/106 femmine per ogni 100 maschi, mentre nelle regioni in questione le nascite di bambine, appunto, sono state molto inferiori. Questo perché gli embrioni femminili sono ancora più sensibili alla radioattività rispetto a quelli maschili. Non solo, gli studiosi tedeschi hanno anche evidenziato un netto aumento dei casi di tumore infantile nelle vicinanze delle centrali nucleari.

Disguidi nucleari

Ma come si spiegano questi 20.000 aborti spontanei “in eccesso”, in assenza di incidenti conclamati presso le centrali di queste zone? Con il fatto che gli impianti, sostengono i ricercatori, rilasciano nell’ambiente sostanze tossiche o radioattive. E lo fanno in occasione di incidenti ritenuti di “basso livello”, quei numerosissimi “disguidi” (in Francia se ne verifica circa uno ogni tre giorni) che portano a una esposizione alla radioattività della popolazione “entro i limiti di sicurezza”. Limiti stabiliti dalle autorità nazionali, ma che per la loro frequenza e i loro effetti cumulati possono nuocere alla salute ben più di quanto i produttori di energia e le stesse autorità siano disposti ad ammettere.

Anche le sole attività legate alla produzione di energia, sostiene la ricerca, hanno effetti sull’ecosistema e sulle popolazioni circostanti, e la lista dei possibili “incidenti di basso livello” è lunga: si va dalle perdite nel trasporto e nello smaltimento delle scorie, agli scarichi di acque contaminate nei corsi d’acqua, fino alla presenza di agenti tossici nel vapore rilasciato in atmosfera che, è vero, non contiene CO2, ma non è certo il più salubre, in quanto proveniente da acqua evaporata entrando in contatto con un nucleo radioattivo.

Rassicurazioni o inganni?

Eppure, al di là di questo, è impossibile ignorare che senza l’energia nucleare molti sistemi-Paese rischierebbero di fermarsi, con effetti gravissimi sulle loro economie. È anche comprensibile, di conseguenza, l’enorme impegno di questi Paesi nel rassicurare le popolazioni sulla sicurezza degli impianti. Recentemente nella regione inglese del Somerset EDF energy ha diffuso la notizia sul consenso della popolazione locale relativo all’ampliamento della centrale di Hinkley Point (la cui chiusura è prevista nel 2016). Un consenso ottenuto non con la forza, ma con un sondaggio, commissionato dalla stessa EDF. Anche la Bbc ci era cascata, diffondendo insieme alla stampa locale la notizia che sei persone su dieci, nelle zone di Sedgemoor, Taunton Deane e West Somerset supportano l’ampliamento della centrale di Hinkley, nel sud ovest dell’Inghilterra.

Un sondaggio considerato però da più parti ambiguo. Secondo Leo Barasi di Climate Sock domande quali: “Fino a che punto è d’accordo con la seguente affermazione: l’energia nucleare ha degli svantaggi, ma la nazione ha bisogno di energia nucleare come parte di un bilanciamento energetico con carbone, gas ed energia eolica”, sono poste in modo da rendere difficile un disaccordo (calcolato infatti nel 13% dei rispondenti a questa domanda), e chi oggi vede i risultati è portato a pensare che le persone intervistate nella zona in questione ritengano necessaria l’energia nucleare. Lo stesso vale per domande in cui, mentre si chiede di pensare agli aspetti positivi e negativi di un nuovo reattore ad Hinkley Point, rientrano sempre in qualche modo i benefici che un nuovo reattore avrebbe sull’economia e l’occupazione locali.

“A me sembra chiaro che questa lunga serie di domande guidi le persone verso un percorso mentale che le porta a pensare ad una centrale nucleare in modo ben diverso da quanto esse normalmente farebbero”, accusa Ben Goldacre dalle pagine del quotidiano The Guardian. Secondo il giornalista inglese ha infatti un effetto ben diverso chiedere: “Volete che i vostri figli restino disoccupati?”, invece che: “Siete tutti segretamente terrorizzati all’idea che potremmo farvi prendere il cancro?”. Gli statistici sanno bene che il diverso ordine dato a certe domande potrebbe far variare l’andamento di un questionario, e per Goldacre quello di EDF contravviene a molte delle regole di base da tenere in considerazione nella compilazione di un questionario statistico. In particolare quella che consiglia di “stare attenti a non influenzare le risposte”.

di Andrea Bertaglio - Il Fatto Quotidiano

venerdì 19 novembre 2010

Un disastro l’atomo all’italiana, parola del nuclearista Clò


Attorno al “rinascimento nucleare”, del quale si parla molto facendo poco, ci sono alcuni misteri. Il primo è che in un profluvio di interviste e convegni, il governo Berlusconi ha costituito l’Agenzia per la sicurezza nucleare, primo passo operativo per la costruzione di nuove centrali. Ma, chissà come, si è dimenticato di scrivere il documento programmatico che dovrebbe precedere il gran fervore di attività e che infatti il decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010 ordinava di redigere in poche settimane. Questa è solo una delle bombe di profondità sganciate da Alberto Clò, docente di Economia industriale a Bologna e ministro dell’Industria nel governo Dini (1995).

Il suo pamphlet Si fa presto a dire nucleare, appena pubblicato da Il Mulino, se letto con qualche attenzione dalla classe politica, metterebbe la pietra tombale su un piano nucleare fatto di chiacchiere. Che però, alla lunga, rischia di aprire la strada a una rendita miliardaria (in euro) e quindi a un gigantesco drenaggio di denaro pubblico. Clò si addentra nelle stranezze del nucleare all’italiana con perfida ironia: “Costruire per non produrre non è una gran prospettiva, specie se si sono spesi miliardi di euro”. E si chiede come mai si parte con il nucleare ma nel frattempo si autorizza anche un nuovo esercito di centrali a metano, cosicché si rischia tra 20 anni di non sapere che farne. L’impatto del suo volumetto è moltiplicato dal fatto che fin dalla prima riga l’economista bolognese si dichiara nuclearista non pentito. E, quando Clò passa in rassegna le sciocchezze fatte o dette dai pasdaran dell’atomo, lo fa per metterli sull’avviso: sarà colpa vostra, avverte, se anche stavolta non combineremo niente. A 21 anni dal referendum che ci ha fatto uscire dal nucleare, secondo Clò una iattura, siamo rientrati in ballo con una semplice dichiarazione dell’allora ministro Claudio Scajola all’assemblea della Confindustria del 22 maggio 2008.

Clò prende di mira la ottusa propaganda filonucleare, che non ha imparato niente dalla sconfitta degli anni Ottanta, e fa impietosamente il verso all’idea ossessiva di dipingere il ritorno al nucleare come una marcia trionfale all’insegna degli slogan: “La convenienza del nucleare è fuor di dubbio. Gli investitori sono in grado di assumersene l’onere senza alcun aiuto, sussidio, incentivo. I soldi non sono un problema. Possiamo farcela nel giro di pochissimi anni”. “Si fa presto a dire nucleare”, replica appunto Clò, che smonta una per una queste asserzioni, pur paventando il rischio di essere considerato “un traditore”. E al contrario sostenendo che solo guardando i problemi per quello che sono, senza fare i furbi, si potrà costruire attorno all’energia atomica quel consenso sociale indispensabile per procedere. Ed ecco la lista dei problemi. Innanzitutto non è vero che il nucleare avanza in tutto il mondo e gli italiani sono gli unici fessi a restare tagliati fuori. “Rispetto ai massimi toccati nel decennio scorso l’apporto del nucleare si è ridotto del 21 per cento in Germania, del 14 per cento in Giappone, del 27 per cento in Gran Bretagna, del 7 per cento in Francia, del 12 per cento nell’intera Unione europea”, scrive Clò.

Inoltre le difficoltà economiche sono assai spinose. “I tempi medi di costruzione delle centrali sono raddoppiati”, scrive Clò, e questo pesa sul costo finanziario dell’operazione. Tra l’altro, rileva l’economista, “l’Agenzia di Parigi ha calcolato che per le oltre 150 centrali realizzate tra 1986 e 1997 il costo effettivo è risultato doppio di quello previsto; mentre le cose sono andate ancor peggio negli Stati Uniti, con uno scarto di tre volte”. E ancora: non è vero che il nucleare fa risparmiare sui costi di generazione dell’elettricità. Arrivando al 25 per cento di produzione nucleare, come promesso da Berlusconi, Clò calcola nel 5 per cento il risparmio massimo ottenibile.

Un po’ poco per giustificare economicamente un investimento di decine di miliardi di euro. Anche perché non è detto che il risparmio finisca ai consumatori. E qui Clò affronta il tema più insidioso della sfida nucleare. Con la leggenda dell’investimento tutto privato che si ripaga sul mercato, si rischia di accollare alle future generazioni un vincolo spaventoso: quello di dover mantenere per decenni, con il denaro di Pantalone, una rendita assistita dallo Stato. Già nei decreti del governo Berlusconi è prevista una copertura assicurativa dello Stato su tutti i ritardi di costruzione “per motivi indipendenti dal titolare dell’autorizzazione”. Poi c’è la cosiddetta “priorità di dispacciamento”: significa che l’elettricità nucleare avrà sempre la precedenza per l’immissione sulla rete, senza passare dai meccanismi di offerta all’asta, e quindi lasciando ferma la centrale a metano che in quel momento offrirebbe la stessa elettricità a meno. E infine, osserva Clò, “un ulteriore tipo di provvedimento – il più rilevante di tutti – è come garantire ai produttori nucleari certezza sui prezzi di cessione, per metterli al riparo dalle oscillazioni dei prezzi delle fonti concorrenti, dall’imprevedibilità della domanda, in una parola: dal mercato e dalla concorrenza. (…) Un simile intervento, che temiamo a protezione dei venditori più che a tutela dei consumatori, solleva legittimi interrogativi”.

Questa prospettiva di un nucleare antieconomico e assistito fa la parte del leone nel libro di Clò, che da economista dichiara di non voler entrare nei temi dei rischi ambientali. Però una parte decisiva del suo pamphlet è dedicata al tema delle “paure irrazionali”, a partire dal problema delle scorie, “rimasto irrisolto, con la loro dislocazione e sistemazione ignote e comunque non degne di un paese civile”. Da qui parte un ragionamento che ribalta il senso comune nuclearista. Si è scoperto, attraverso serie ricerche, che “l’avversità al nucleare si basa sostanzialmente su implicazioni psicologiche, tali da annullare ogni considerazione sui suoi effetti benefici. Morale: insistere su questi, anziché tentare di rimuovere le prime era e rimane strategia comunicativa inutile, ancorché dominante”.

Da Il Fatto Quotidiano del 18 novembre 2010

martedì 2 novembre 2010

L’energia nucleare? In bolletta sarebbe più cara di gas e carbone

Il ritorno all’atomo potrebbe non essere conveniente per le tasche degli italiani. Anzi, l’elettricità proveniente dal nucleare in bolletta potrebbe risultare ben più salata di quella che arriva dalle centrali a gas o a carbone.

A sostenerlo, mentre il neoministro Romani assicura che le nomine per l’Agenzia nucleare arriveranno a inizio novembre, è la Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Nel suo ultimo report, che confronta i costi dell’elettricità prodotta nel mondo da nuove centrali a gas e a carbone con quelli dell’elettricità prodotta da nuove centrali nucleari, il centro studi presieduto dall’ex ministro dell’ambiente Edo Ronchi, spiega che quest’ultima è mediamente di 72,8 Euro per Megawattora (MW/h). Più elevata del 16% rispetto ai 61 Euro/MWh delle centrali a gas e del 21% rispetto ai 57,5 del carbone.

Il report comparativo si basa sull’analisi di 8 studi, pubblicati tra il 2008 e il 2010 da Agenzia Nucleare dell’Ocse, Commissione Europea, Ufficio budget del Congresso e Dipartimento energetico americani, Mit, Camera dei Lords, Electric Power Research Institute e Moody’s.

«In Italia - si legge nel rapporto – il nucleare sarebbe ancora più caro rispetto ai Paesi in cui esiste da tempo». Il nostro Paese infatti dovrà ripartire da capo, tenendo conto delle caratteristiche morfologiche del territorio e affrontando le forti opposizioni locali, già ampiamente emerse da quando hanno cominciato a filtrare le indiscrezioni sulla lista dei siti messa a punto da Sogin (un assaggio lo ha avuto lo stesso Romani con il polverone che si è alzato dopo che si è lasciato scappare che una centrale nucleare in Lombardia non ci starebbe male). Infine bisognerebbe tenere conto dei tempi di realizzazione, presumibilmente più lunghi, e dei reattori da importare.

Il programma nucleare italiano, con i suoi 100 Terawattora e 13.000 Megawatt di nuove centrali da realizzare entro il 2030, scrive Ronchi, «non può semplicemente essere aggiunto all’esistente che comprende uno sviluppo delle rinnovabili (circa 100 TWh entro il 2020), di nuove centrali a gas e a carbone in costruzione o in fase avanzata di autorizzazione (almeno altri 10.000 MW entro il 2020), perché la crisi economica e le politiche di risparmio e di efficienza energetica stanno configurando una futura crescita moderata dei consumi elettrici».

È un dibattito acceso da sempre in Italia, quello fra chi lo stigmatizza e chi sostiene la bontà del nucleare come fonte di energia pulita, come modo per affrancarsi dalla dipendenza energetica dall’estero e anche come volano per la ricerca. Proprio in questi giorni è partito da Genova il roadshow che Enel EDF hanno organizzato insieme a varie università italiane sul tema del ritorno all’atomo. “Non c’è attualmente un settore come quello del nucleare – ha affermato in quell’occasione Paola Girdinio, preside della facoltà di Ingegneria del capoluogo ligure – che sia in grado di favorire lo sviluppo della ricerca”.

Secondo la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, e in effetti sarebbe strano il contrario visto il nome, la via da seguire è il mix di energie rinnovabili. Fonti di energia che restano ancora molto costose, ma sembrano avviarsi, pian piano, a diventare meno salate.

Secondo un recente studio della Duke University la convenienza rispetto all’atomo ci sarebbe già. L’energia fotovoltaica, dicono gli studiosi americani, è già meno cara di quella nucleare.



Fonte: Il fatto quotidiano